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Spezzoni del romanzo

Tempo

Passando il tempo, la stessa domanda torna a porsi ogni volta con maggiore frequenza: «riuscirò mai ad uscirne?». Si potrebbe pensare essa nasca dalla crescente frustrazione, mentre ad aumentare è invece un opposto desiderio di liberazione.
È proprio nella coscienza di come il tempo vada sommandosi a se stesso - altro tempo oltre il tempo - che facilmente vorrei rispondere alla domanda con un'altra domanda: «quando è stata l'ultima volta che sono stata veramente felice?».
Questa, almeno per me, è già una novità, ed irrompe rumorosamente solo quando mi sorprendo di quanto sia diventata alta la pila di quel tempo. Cosa che non mi era mai capitato fare, prima di ora.

Non vi è una stretta logicità tra le due cose. Si è portati a credere che misurare la quantità di tempo già versato possa aiutare a stimare quello invece ancora rimanente. Istintivamente, più va allungandosi la strada verso un traguardo sconosciuto, più si crede quel traguardo vicino: se sono in viaggio da molto, evidentemente sono vicina alla meta. È l'insofferenza dovuta alla stanchezza di un viaggio così lungo che matura il desiderio affinché finisca in breve.
Messa così, a bruciapelo, di fronte a quella domanda io vedo solo il vuoto, una bolla di silenzio spezzata al limite da qualche timido mugugno, da un balbettio. Diventa subito evidente come sia richiesto un qualcosa in più, uno sforzo mentale. Perché sì, esistono tanti, singoli e sconnessi momenti di felicità nella vita - nella mia come in quella di chiunque -, se non almeno momenti di tregua o di apparente quiete. Saltano subito all'attenzione. Ma la loro somma resta comunque distante dal condurre al risultato voluto. E perché ad un certo punto si arriva anche a sentire il bisogno di ricostruire quando sia cominciato tutto questo.

Non ricordo e a quindi avrò bisogno di ricordare. È già questo un primo motivo di allarme: se così è, è un'ulteriore prova di quanto tempo sia passato.

Sicuramente, dopo un numero indeterminabile di secondi, si riuscirà nell'obiettivo, essendo improbabile che la nostra memoria abbia rimosso pure quel poco di buono per far posto a quanto invece oggi incombe. Ma quando ciò avviene, quanto torna distintamente alla mente è soltanto il ricordo di come ci si sentisse felici. Il contesto, che poteva essere dato dalle persone, dallo spazio, le motivazioni di fondo risultano invece più scomposte, se non addirittura confusionarie o sfocate.
Si ricorda che è esistito, ma non come fosse. Ecco, allora, altro sintomo: è passato così tanto tempo che il processo di sgretolamento della memoria si trova ormai a uno stadio molto avanzato. Di quel ricordo rimane appena il ricordo stesso del fatto che sia esistito.
È lì che il desiderio di cui prima, che muoveva verso quelle domande per poi trovare altre risposte, a questo punto lascia inesorabilmente lo spazio alla paura, che in genere è la paura che la propria non sia tanto una questione di mera fatalità, che dovrà pur terminare così come è cominciata, ma che sia semmai una condizione propria ed essenziale dell'essere, irrinunciabile.