Stamattina ascoltavo la radio, dove si diceva che la ragazza che si è suicidata per il video porno "se l'è cercata".
Cosa nasconde questa frase - che sentiamo sempre più frequentemente - a livello semantico?
Si potrebbe pensare alluda alla sua ingenuità - e ingenua lo è stata, innegabilmente.
Ingenuità a riguardo della lealtà dei suoi amici da una parte e delle potenzialità dei moderni strumenti di comunicazione dall'altra. Questo vi risponderebbe chi la pronuncia, semmai gli chiedeste cosa intenda dire esattamente con quella frase*.
Ma è la vigliaccheria di coloro che, vergognandosi delle proprie meschine opinioni e sapendo di non poterle difendere in pubblico (perché indifendibili in un contraddittorio fondato sulla ragionevolezza), le mascherano dietro un ipocrita politically correct, utile a loro per continuare a pronunciarle e ricevere approvazione dal pubblico, pur consapevoli (sia chi pronuncia, sia chi ascolta) della loro ingiustizia.
Sottende infatti un più banale "è colpa sua", cioè un'attribuzione piena di ogni responsabilità dell'accaduto: è colpa della ragazza, perché lei "non sapeva forse che..?.".
Si noti: non è un reato tradire il fidanzato, riprendersi in video porno (con il consenso delle parti) o inviare quei video ad amici; è invece reato diffondere quei video (senza il consenso), prima a terzi e poi pubblicamente.
Quindi quale sarebbe, eventualmente, l'imputazione? A intuito si direbbe l'esatto contrario: la ragazza è nel pieno della ragione, semmai i responsabili sono i suoi amici e tutti coloro che hanno concorso alla condivisione del video, che dovrebbero essere imputati non solo per violazione della privacy e per lesione della dignità della ragazza, ma anche per istigazione al suicidio.
A dimostrazione, la ragazza stava ottenendo ragione nelle aule di tribunale.
Però per la pubblica opinione il diritto soccombe al consuetudinario: è irrilevante cosa dica la legge, è irrilevante quali siano i diritti individuali di una persona, viviamo in un mondo che "funziona così" (il consuetudinario, appunto) e quindi la colpa è della ragazza per aver agito in barba a questo principio. Nel rispetto della legge, certo, legge che invece altri non hanno rispettato, ma nella violazione del consuetudinario, più determinante.
Questo "funziona così", che difendiamo a spada tratta, è il solito retaggio della nostra società patriarcale e maschilista, che riconosce ampie libertà sessuali al genere maschile e pesanti limitazioni sessuali al genere femminile, fondando ormai buona parte della nostra cultura e dell'immaginario collettivo.
Il principio alla sua base è lo stesso che vede l'uomo sessualmente libero e promiscuo come un "eroe", come un modello sociale da seguire (contro anche una reale libertà, che dovrebbe vedere ognuno vivere il sesso come più gli aggrada, senza modelli né positivi, né negativi); mentre la donna sessualmente libera e promiscua come una "puttana" o come una poco di buono, moralmente condannabile.
Sempre come "eroi" sono visti gli attori maschili dei film porno, contro le attrici femminili viste alla stregua di merce da consumo, nonostante stiano effettivamente facendo la stessa cosa (il paradosso qui è oltre ogni evidenza).
Il principio è lo stesso che - ancora - colpevolizza la donna quando è vittima di stupro o di altre violenze fisiche, perché rea di essere sessualmente attraente, e che quindi assolve l'uomo perché ingiustamente provocato e costretto dalla donna ad agire tramite istinto animale.
Visto che stiamo dando un nome alle cose, chiamiamo anche il fenomeno complessivo con il termine corretto: si chiama revenge porn. Ed oltre ad essere in crescita esponenziale (in proporzione alla diffusione dei mezzi di comunicazione), non a caso colpisce esclusivamente il genere femminile.
D'altronde immaginate un attimo se possa mai essere a danno di uomo: diffondere foto o video che lo vedono impegnato in atti sessuali gli porterebbe soltanto consenso dai suoi simili, cioè l'effetto contrario, come già accennato (diverrebbe un eroe).
Ne sentiamo parlare non a sufficienza, perché questo accade solo quando l'oggetto della contesa è estremo (un video di sesso integrale) e quando le conseguenze sono altrettanto estreme (il suicidio di una ragazza). I casi più semplici, dove magari per "vendetta" l'ex (uomo) invia agli amici foto della ex (donna) in atteggiamenti intimi, sono concettualmente altrettanto gravi, ma ovviamente non si possono contare. Allo stesso modo sono finalizzati a ledere la dignità di una persona facendo leva e mettendo sotto un processo sommario e di piazza le sue libertà sessuali. E non essendone socialmente riconosciute al genere femminile, ovviamente è utilizzabile solo contro questo.
Allora forse, andrebbe aperto anche un grande processo contro la nostra società, visto che riconosce dei diritti legali a una donna, ma al tempo stesso la espone al pubblico ludibrio quando va ad esercitarli; peggio nel momento in cui quei diritti sono già ampiamente riconosciuti al genere maschile e quindi l'esercizio da parte del genere femminile va a concorrere essenzialemente verso una parificazione in termini di diritti.
* come volevasi dimostrare, mentre scrivevo questo articolo un ascoltatore ha chiamato in radio e ha ricevuto proprio questa spiegazione alla frase