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Idomeni

Idomeni, giorno zero

 

Stiamo raggiungendo Bologna. Domani partiremo alla volta della Macedonia centrale, prima in aereo fino a Salonicco, da lì in poi in macchina, per arrivare a sera al campo profughi di Idomeni che ospita 10.000 tra siriani, curdi, iracheni e afgani, metà dei quali sono bambini e neonati. Per arrivare a quello che, in questi mesi così drammatici, potremmo correttamente definire come il nuovo confine del mondo. Almeno del mondo come lo conosciamo noi.

Avremmo potuto scegliere un giorno qualsiasi e invece, non casualmente, abbiamo scelto proprio domani per arrivare a Idomeni, il 25 aprile.

Senza pretese, senza voler azzardare  paragoni inopportuni, pensiamo che in fondo anche questa sia una forma di Resistenza: garantire la nostra presenza fisica in quel luogo di dolore, non solo per manifestare solidarietà nei confronti dei profughi che ne sono prigionieri; ma, come cittadini prima e militanti poi, per affermare che la nostra idea di Unione Europea è un'altra, diversa e opposta da quella che vorrebbero realizzare i nostri governi.
Soprattutto, diversa e opposta da quell'Unione Europea che nelle scorse settimane ha delegato la gestione del diritto di asilo alla Turchia e al suo governo fascista, genocida e criminale.
Diversa e opposta da quella formata da stati e governi opportunistici e interessati esclusivamente a mere questioni di bilancio. 
Al contrario, la nostra è coincidente con quella di milioni di cittadine e di cittadini (prima del mondo, poi dei nostri paesi) che vogliono comporre una comunità multi-culturale, integrante, solidale.

Siamo costretti in un mondo dove le merci, che si fanno portatrici degli interessi di pochi potenti, possono circolare liberamente tra uno stato e l'altro; dove gli interventi della comunità internazionale all'interno degli scenari di guerra vengono valutati ed assunti in proporzione alla quantità di risorse che offre questa o quella regione. E dove però, al contrario, gli esseri umani, anche quando in fuga dalla guerra, dalla miseria, da terribili prospettive di vita futura, da quegli stessi orrori che proprio noi occidentali abbiamo seminato, rimangono confinati dietro un filo spinato, ai piedi di un muro invalicabile o sotto la minaccia di un fucile carico.

Se ha ragione Gramsci, se è vero che bisogna scegliere da quale parte stare, noi ora vogliamo testimoniare che stiamo da questa parte. Stiamo (e resistiamo) al fianco di queste migliaia di donne, uomini e bambini che, dopo aver perso tutto, imprigionati in un campo ormai sommerso dal fango, con la mani lacerate dal filo spinato, ci stanno chiedendo un'altra Europa. E la stanno chiedendo ad alta voce.